La giustificazione intellettuale
per l'austerità è in rovina. Si scopre che gli economisti di Harvard Carmen Reinhart e Ken Rogoff, che
originariamente hanno inquadrato l'argomento relativo al fatto che un “rapporto
debito-PIL" troppo alto porterà sempre, necessariamente, alla contrazione
economica - e che l’avevano aggressivamente promosso durante il mandato di
Rogoff come capo economista per il Fondo Monetario Internazionale - avevano
basato tutta la loro tesi su un errore di calcolo [http://www
.guardian.co.uk/politics/2013/apr/18/uncovered-error-george-osborne-austerity
n.d.t.]. La premessa dietro i tagli risulta essere difettosa. Ormai non c'è
prova definitiva che alti livelli di debito portano necessariamente alla
recessione.
Vedremo, quindi, un'inversione di
politica?! Un mare di mea culpa da parte dei politici che hanno trascorso gli
ultimi anni raccontando a pensionati disabili che dovevano rinunciare al passaggio
del loro autobus e agli studenti poveri di rinunciare all'Università, il tutto
sulla base di un errore?! Sembra improbabile. Dopo tutto, come io e molti altri
abbiamo a lungo sostenuto, l'austerità non è mai veramente stata una politica
economica: in definitiva, era sempre una questione di morale. Stiamo parlando
di una politica di delitto e castigo, il peccato e l'espiazione. Vero, non è
mai stato particolarmente chiaro esattamente quello che è stato il peccato
originale: una combinazione, forse, di evasione fiscale, di pigrizia, di
beneficio della frode e l'elezione di leader irresponsabili. Ma in un senso più
ampio, il messaggio era che fossimo colpevoli di aver sognato la sicurezza
sociale, condizioni di lavoro umane, le pensioni, la democrazia sociale ed
economica.
La morale del debito si è
dimostrata spettacolarmente una buona politica. E sembra funzionare altrettanto
bene qualsiasi forma assuma: sadismo fiscale (gli elettori olandesi e tedeschi
credono, effettivamente, che i cittadini greci, spagnoli e irlandesi siano
tutti, collettivamente, come si diceva, "peccatori del debito", e danno
sostegno con il voto ai politici che vogliono punirli) o masochismo fiscale (i britannici
della classe media voteranno doverosamente per i candidati che dicono che il
governo ha fatto “baldoria”, che dovranno tirare la cinghia, sarà difficile, ma
è qualcosa che tutti noi possiamo fare per il bene dei nostri nipoti). I
politici individuano le teorie economiche che forniscono equazioni appariscenti
per giustificare la politica, ed i loro autori, come Rogoff, vengono celebrati
come oracoli; nessuno si preoccupa di controllare se i numeri in realtà si
sommano.
Se fosse mai stata richiesta la
prova che la teoria è stata selezionata per soddisfare la politica, basti
considerare la reazione che i politici hanno verso gli economisti che osano
suggerire che questo contesto moralistico è inutile, o che ci potrebbero essere
soluzioni che non comportano gravi sofferenze.
Anche prima sapevamo che lo
studio di Reinhart e Rogoff era semplicemente sbagliato, molti avevano
sottolineato che la loro indagine storica non faceva alcuna distinzione tra gli
effetti del debito per i paesi come gli USA o il Giappone - che emettono la
propria moneta e quindi hanno il loro debito denominato in tale valuta - e
paesi come l'Irlanda, la Grecia, che non lo fanno. Ma la vera soluzione per la crisi
degli eurobond [la crisi del debito n.d.t.], alcuni hanno sostenuto, si trova
proprio in questa distinzione.
Perché il Giappone non è nella
stessa situazione della Spagna o dell'Italia?! Ha uno dei più alti rapporti debito/PIL del mondo (il doppio di quello dell’Irlanda),
ed è regolarmente in riviste come l'Economist come un esempio prima facie di un caso disperato di economia,
o per lo meno, di come non gestire una moderna economia industriale. Eppure,
non hanno alcun problema nella raccolta di fondi. Infatti il tasso sui loro titoli a 10 anni è
inferiore all'1%. Perché? Perché non c'è nessun pericolo di
default. Tutti sanno che in caso di emergenza, il governo giapponese potrebbe
semplicemente stampare il denaro. E i soldi giapponese, a loro volta, andranno
sempre bene perché c'è una costante domanda di questi da parte di chiunque
abbia a pagare le tasse giapponesi.
Questo è precisamente quello che
l'Irlanda o la Spagna, o uno qualsiasi degli altri paesi della zona euro del
sud in difficoltà, non possono fare. Dal momento che solo la Banca Centrale Europea
dominata dai tedeschi può stampare euro, gli investitori in obbligazioni
irlandesi temono il default, ed i tassi di interesse sono “un'offerta” di
conseguenza. Da qui il circolo vizioso di austerità. Così una percentuale
maggiore della spesa pubblica deve essere reindirizzata per pagare l'aumento
dei tassi di interesse, i bilanci sono tagliati, i lavoratori licenziati, l’economia
si contrae, e così fa la base imponibile, riducendo ulteriormente le entrate
statali e aumentando ulteriormente il rischio di default. Infine, i
rappresentanti politici dei creditori sono costretti ad offrire "pacchetti
di salvataggio", annunciando che, se il paese incriminato è disposto a
castigare sufficientemente i sua malati e gli anziani, e ad infrangere i sogni
e le aspirazioni di una percentuale sufficiente dei suoi giovani, prenderanno
misure per garantire che le obbligazioni non faranno default.
Warren Mosler [http://en.wikipedia.org/wiki/Warren_Mosler
n.d.t] e Philip Pilkington sono due economisti che hanno il coraggio di pensare
al di là delle catene di Rogoff di stile economico di austerità. Appartengono
alla scuola della Modern Money Theory [http://www.nakedcapitalism.com
/2013/03/what-is-modern-monetary-theory-or-mmt.html n.d.t.], che inizia
guardando a come funziona realmente il denaro, piuttosto che a come dovrebbe
funzionare. Su questa base, hanno fatto un caso potente sul fatto che se
torniamo al problema di fondo della creazione della moneta, possiamo così
scoprire che tutto questo non è mai necessario cominci. In collaborazione con Levy
Institute of Bard College, propongono un’ingegnosa, ma elegante soluzione alla
crisi degli eurobond [http://www.levy
institute.org/publications/?docid=1511 n.d.t.]. Perché non semplicemente
aggiungendo un po' di linguaggio giuridico, per esempio, dichiarando che con i
bonds irlandesi, in caso di inadempienza, si possono utilizzare, a loro volta, per
pagare le tasse irlandesi? Gli investitori sarebbero rassicurati che i bonds
rimarrebbero "moneta buona", anche nella peggiore delle crisi - in
quanto anche se non stavano facendo affari in Irlanda, e non devono pagare le
tasse irlandesi, sarebbero abbastanza facili da vendere, con un piccolo sconto,
a qualcuno che lo fa. Una volta che i potenziali investitori hanno capito il
nuovo accordo, i tassi di interesse ricadrebbero dal 4-5% ad un gestibile 1-2%,
e il ciclo di austerità sarebbe interrotto.
Perché non è stato adottato
questo piano? Quando è stato proposto nel parlamento irlandese nel maggio 2012,
il ministro delle Finanze Michael Noonan [http://www.finegael.ie/our-people/ministers/michael-noonan/
n.d.t.] ha respinto il piano per motivi del tutto arbitrari (ha sostenuto che significherebbe
trattare alcuni obbligazionisti in modo diverso rispetto ad altri, ed ha ignorato quelli che rapidamente avevano
sottolineato che alle obbligazioni esistenti potrebbe facilmente essere dato lo
stesso status giuridico o, altrimenti, potrebbero essere scambiate per tax-backed
bonds). Nessuno è abbastanza sicuro di quella che fosse la vera ragione,
eccetto forse una paura burocratica istintiva dell'ignoto.
Non era nemmeno chiaro chi sarebbe
stato infastidito da un tale piano. Gli investitori sarebbero stati felici. I
cittadini avrebbero visto un rapido sollievo dai tagli. Non ci sarebbe stata alcuna
necessità di ulteriori salvataggi. Potrebbe anche non funzionare in paesi come
la Grecia, in cui la riscossione è, diciamo, meno affidabile, e potrebbe non eliminare
del tutto la crisi. Ma avrebbero quasi certamente importanti effetti salutari.
Se i politici si rifiutano di considerarlo - come finora hanno fatto - è
difficile vedere una qualsiasi ragione diversa dalla pura incredulità al pensiero
che il grande dramma morale dei tempi moderni potrebbe in effetti non essere
altro che il prodotto di una cattiva teoria e di una serie di dati difettosi.
Traduzione a cura di Luca
Pezzotta.
Nessun commento:
Posta un commento